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03 ottobre 2011

Birds On The Wires.

Quando si ha un discreto spirito di osservazione, la mente aperta e la capacità di trasporre in àmbiti diversi ciò che si vede, può capitare che da una semplice foto pubblicata in una rivista il genio di turno sia capace di "estrarre" una musica. 
Sembra incredibile, eppure capita.

Jarbas Agnelli è un musicista brasiliano ma il suo cognome tradisce origini italiane (e che origini... anche se probabilmente si tratta solo di omonimia). Tempo addietro Agnelli vide su una rivista la foto di un paesaggio - sembra una delle tante favelas che ci sono in Brasile - con una linea elettrica in primo piano e diversi uccelli appollaiati sui fili.


Quei cinque fili e gli uccelli che vi disegnavano sopra tante macchie nere devono essere apparsi famigliari al musicista: un pentagramma i fili elettrici e note gli uccelli. Agnelli ebbe la curiosità di sentire che musica potessero aver inconsapevolmente composto quei volatili posandosi sui fili in maniera del tutto casuale e la melodia che ne scaturì, pur non essendo nulla di straordinario, è tuttavia affascinante per il modo in cui è stata generata. Gli uccelli non fanno musica solo con i loro cinguettii ma anche semplicemente stando su una linea elettrica.

Ci sono esempi noti di musiche composte in modo casuale; pare che Mozart stesso abbia "creato" brani musicali scrivendo su foglietti di carta brevissime sequenze armoniche e melodiche di una battuta e poi, estraendo casualmente i bigliettini da un sacchetto, li abbia messi in fila e abbia trascritto le battute ottenendo così delle composizioni. 
Ricordo che una trentina di anni fa, quando muovevo i miei primi passi nel mondo dei computer utilizzando il mitico Commodore 64, avevo un programma che faceva giusto qualcosa di simile: il software consisteva in un discreto numero di sequenze melodico-armoniche prefissate che venivano scelte e accostate, come in un mosaico musicale, a partire da un numero casuale di 8 cifre (o multipli di 8, perchè il programma generava brani in 4/4) che si digitava. Il risultato era una musica di genere barocco, una partitura piuttosto gradevole riprodotta imitando il suono del clavicembalo.

Di recente qualcuno ha visto della musica nascosta perfino sulla tavola della famosissima "Ultima Cena" affrescata da Leonardo nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano: pare che la disposizione dei pani sul tavolo possa essere letta come uno spartito... ma dopo il successo del famoso libro di Dan Brown "Il Codice Da Vinci" ormai in quell'affresco la gente ci vede di tutto, quasi fosse una delle tavole del test proiettivo di Rorschach.

Tornando a Jarbas Agnelli, dal suo canale Vimeo (link) ecco il video "Birds On The Wires"; suggerisco di guardarlo a schermo intero.


Birds on the Wires from Jarbas Agnelli on Vimeo.

28 dicembre 2010

Punk prima di te.

Partirò citando un vecchio brano di Enrico Ruggeri per arrivare, dopo un giro un po' tortuoso, a parlare di tutt'altro. Lo so, sono verboso e i miei monologhi non sempre sono rettilinei, ma tant'è...

Di alcuni artisti negli anni ho comprato pressochè tutta la discografia, ma a ben guardare l'ho fatto due volte: prima ho acquistato tutti i vinili, poi quando è cambiata la tecnologia ho comprato tutti i CD rimasterizzati dei vecchi albums.
Uno dei cantanti di cui ho l'opera omnia è Enrico Ruggeri, che apprezzo molto non solo per le personalissime armonie e sonorità ma anche per il lessico non comune e non banale che caratterizza i suoi testi, due qualità che lo accomunano a davvero pochi autori italiani: oltre a Ruggeri, così su due piedi mi vengono in mente solo Franco Battiato e Angelo Branduardi.

Una bella canzone di Enrico Ruggeri è "Punk prima di te", nella quale rivendica di essere stato un punk della prima ora, quando essere punk significava essere eccessivi, essere additati per quelle spille conficcate nelle carni (piercings ante litteram...) e guardati con sospetto per la troppa familiarità dei punks con le droghe.
Per la verità Ruggeri è stato un punk piuttosto soft se paragonato ai gruppi inglesi di quel periodo come i Sex Pistols, i Clash, gli Stranglers o i Damned, ma nonostante questo Ruggeri rivendica l'essere stato un pioniere, rivendica i suoi trascorsi di fronte a coloro che sono diventati (o si sono atteggiati a) punk in seguito, per moda, quando la strada era già stata tracciata, quando essere punk significava vendere tantissimi dischi, quando le creste di capelli multicolori alte mezzo metro e tenute dritte con il Tenax non suscitavano più ilarità o commenti a mezza voce.


Ho parlato di Ruggeri per prendere molto (ma moooooolto) alla larga il discorso che sto per fare a proposito degli audiovisivi tridimensionali e parlo di audiovisivi in senso lato perchè oltre al cinema 3D ci sono anche le fotografie.

Fino all'anno scorso quasi nessuno - a parte qualche appassionato - sapeva cosa fosse il 3D e in particolare la fotografia tridimensionale.
Dopo il fenomeno "Avatar" tutti apprezzano la spettacolarità del 3D, tant'è vero che il mercato ha prontamente fiutato l'aria e quest'anno in molti, a Natale, si saranno regalati il televisore 3D con almeno quattro paia di occhialini, anche se la tecnologia del 3D domestico è ai primordi e deve  ancora evolversi parecchio.

Ma oltre al cinema esistono anche le fotografie tridimensionali e io le faccio da 27 anni: è questo il (labile) parallelo che mi sono azzardato a fare fra Ruggeri pioniere del punk e il sottoscritto, in qualche modo piccolissimo pioniere della fotografia tridimensionale.

L'idea di fare fotografie tridimensionali mi venne nel 1983 al cinema guardando "Lo squalo 3-D", terzo episodio della serie, che era stato girato in 3D e si poteva vedere con occhialini a lenti polarizzate. La polarizzazione sfalsata di 90° fra immagine di destra e di sinistra e l'uso di occhialini con lenti corrispondenti permetteva d'inviare a ogni occhio la relativa immagine e di vedere il film con la tridimensionalità e i colori naturali. La tecnica sembrava abbastanza semplice e mentre guardavo il film decisi che ci avrei provato con le fotografie.
Per le foto 3D (in realtà quelle che ho fatto in passato sono diapositive) facevo due scatti - uno per l'occhio sinistro e uno per quello destro - e per vederle serviva o un complicatissimo sistema di due proiettori con lenti polarizzate sugli obiettivi e gl'introvabili occhialini a lenti polarizzate (per fortuna all'uscita dal cinema avevo requisito gli occhialini di tutta la combriccola di amici con cui c'ero andato e dunque ne avevo una quindicina), oppure occorreva avere un apposito visore simile a un binocolo in cui inserire di volta in volta le coppie di diapositive (una a destra e una a sinistra).

Ora con l'avvento della fotografia digitale è un po' più complicato vedere le foto in 3D. Bisogna sempre fare due scatti per ogni inquadratura, uno per l'occhio destro e uno per il sinistro, ma poi è necessario accostare con un editor fotografico la foto di destra a quella di sinistra per creare l'immagine finale che potrà essere vista in 3D semplicemente incrociando gli occhi come se si fosse strabici: man mano che lo sguardo converge le due immagini sembrano sovrapporsi fino a che fra le due appare una terza immagine - creata dal nostro cervello che unisce ciò che vede l'occhio destro a quello che vede il sinistro - e questa immagine avrà anche la dimensione della profondità.

Devo ammettere che questo modo di guardare le foto 3D affatica parecchio gli occhi perchè devono accomodare la visione in un modo innaturale, ma l'effetto a mio parere è notevole.

Più sotto ci sono alcuni esempi di foto 3D che ho scattato in giro per l'Italia.
Per facilitare l'incrocio degli occhi e quindi la corretta visione tridimensionale ho inserito un pallino nero a mo' di guida sopra le due foto; per vederle in 3D basta incrociare lo sguardo lentamente e leggermente, come se ci si volesse guardare la punta del naso, ma tenendolo focalizzato sullo schermo: si vedranno i due pallini avvicinarsi sempre di più l'uno all'altro.
Nel momento in cui s'incontreranno, apparirà una terza immagine e guardandola si vedrà la scena in tre dimensioni.

Occorre un po' di allenamento per riuscirci, per la verità è più difficile spiegare la tecnica che metterla in pratica, ma quando si è capito come incrociare gli occhi ci si mette un secondo a ottenere la tridimensionalità.

Parecchie migliaia di foto simili (ma fatte molto meglio delle mie...) e osservabili con la stessa tecnica sono in questo gruppo su Flickr.
Sullo stesso sito ci sono anche immagini anaglifiche da osservare con gli occhialini bicolori, quelli con una lente rossa e una azzurra.

Ho un grande rimpianto: il non potere, per ora, digitalizzare la grande quantità di diapositive 3D che ho scattato in tutti questi anni, alcune delle quali per me sono davvero belle (ma so di non essere un giudice imparziale).

Villa Contarini - Piazzola sul Brenta, PD.


Villa Contarini - Piazzola sul Brenta, PD.


Marostica, VI: Piazza degli Scacchi e Castello inferiore visti dal Castello superiore.


Siena - Facciata del Duomo.


Siena - Palazzo Comunale e Torre del Mangia.

12 dicembre 2010

"Io, a quale corpo appartengo?"

Di Franco Battiato si può dire di tutto ma non che i suoi testi siano banali. Anzi...
 
La prima volta che ascoltai una sua canzone fu nel 1972 e il brano s'intitolava "La convenzione". All'epoca sembrava una canzone di fantascienza; una voce da un futuro lontano ci raccontava di quando l'uomo abitava ancora una Terra sovrappopolata e di come molti fossero andati su Giove e Venere in cerca di nuove terre da colonizzare.
In alcuni passaggi il testo aveva una sintassi strana, come nel passaggio in cui dice "Un po' restammo quaggiù sotto il mare".  Per la verità il testo diventa sempre più strano man mano che la canzone va avanti e termina con quelle che all'epoca venivano definite "visioni lisergiche".


In seguito ascoltai con attenzione i successivi album di Battiato; mi piaceva la musica elettronica e nei suoi dischi i sintetizzatori e i Moog si sprecavano, ma soprattutto mi affascinava l'uso che Battiato ha sempre fatto della lingua, con termini insoliti, desueti o non comuni raramente usati nei testi delle canzoni.
 
Penso che abbia toccato il massimo dell'azzardo nell'album "Pollution", quando non solo cantò una canzone, "Areknames", leggendo il testo a rovescio, da destra a sinistra ("areknames" = "se mancherà"), ma ebbe l'ardire - è bene ricordare ch'eravamo nel 1972, giusto per confrontare i suoi testi con quelli dei contemporanei - di usare la formula per il calcolo della portata di un condotto come testo per una canzone. Immaginate la reazione di chi, nel 1972, sentiva uno strano personaggio con gli occhiali e una capigliatura degna dell'epoca cantare

"La portata di un condotto
è il volume liquido
che passa in una sua sezione
nell'unità di tempo:
e si ottiene moltiplicando
la sezione perpendicolare
per la velocità che avrai del liquido.
A regime permanente
la portata è costante
attraverso una sezione del condotto."

In quel disco c'era però anche un altro brano, "Beta".
Chi parlava era una  creatura appartenente al gruppo dei Beta, che poteva dire con orgoglio "La violenza non ho nella mente".  Sembrava la famosa particella di sodio ante litteram...
Alla fine del brano, però, Battiato metteva un vero carico da 11 quando, con il tema da "La Moldava" di Bedřich Smetana in sottofondo, diceva:

"Dentro di me vivono la mia identica vita
dei microrganismi che non sanno
di appartenere al mio corpo...
Io a quale corpo appartengo?"

Bella domanda davvero. Mi fece riflettere parecchio.
Sono passati 38 anni da allora e me lo sto ancora chiedendo: io, a quale corpo appartengo?