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31 dicembre 2010

Un anno è andato via...

...e tutto sommato non posso lamentarmi dell'anno trascorso. Spero che anche chi mi legge possa dire la stessa cosa.

Auguro a tutti - e in particolare agli amici - un 2011 sereno. Io approfitterò del ponte per una brevissima vacanza, ma lunedi prossimo sarò ancora qui.

Buon anno a tutti!!


30 dicembre 2010

Il villaggio dei mulini.

Era il 1990 quando uscì nei cinema "Sogni", terzultimo film diretto da Akira Kurosawa nella sua carriera registica durata ben 50 anni.

"Sogni" è un film a episodi e le storie che racconta sono molto "giapponesi", al punto da risultare in alcuni casi poco comprensibili a noi occidentali. Cito ad esempio il primo episodio, "Raggi di sole nella pioggia", in cui per una disobbedienza (l'essere andato nel bosco a spiare un matrimonio dei demoni-volpe, cerimonia che ha luogo nelle giornate in cui piove e contemporaneamente c'è il sole e che le volpi non vogliono sia osservata dagli umani), il bambino protagonista viene trattato dalla madre con una durezza a cui noi della vecchia Europa che apparteniamo a una cultura assai diversa non siamo abituati: gli mette in mano un pugnale "tantō" portatole dalle volpi adirate per l'intrusione e lo invita ad andare da loro per scusarsi, avvertendolo però che difficilmente sarà perdonato e lasciando così intendere che uso dovrà fare del pugnale: il seppuku, il suicidio rituale della tradizione dei samurai.
Peraltro questo episodio è a mio giudizio uno dei più affascinanti: le scene della processione delle "kisune", i demoni-volpe, è più una rappresentazione di teatro Nō che una sequenza cinematografica.


Devo dire che non tutti gli episodi di questo film mi piacciono, ma quello che in assoluto preferisco è l'ultimo; s'intitola "Il villaggio dei mulini".
Un giovane, dall'aspetto assai metropolitano (jeans, camicia e zainetto in spalla) arriva in un villaggio edificato in riva e sopra un fiume in cui il tempo sembra essersi fermato a qualche centinaio di anni prima, i cui abitanti vivono a contatto e in sintonia con la natura, di cui hanno sommo rispetto.
Il dialogo fra il giovane e un vecchio abitante del villaggio ci rivela quale sia la filosofia di quella gente - che rinuncia perfino all'energia elettrica pur di non inquinare il buio della notte e poter vedere le stelle - e con che filosofia accetti di buon grado anche la morte, che viene vista come il momento culminante della vita e non come la sua fine.
Infatti nella sequenza finale della processione per il funerale di una donna quasi centenaria, a cui anche il vecchio - suo antico amore - si unisce recando un ramo fiorito e suonando un cimbalo, si vedono gli abitanti del villaggio precedere o seguire il feretro danzando accompagnati dalla musica di una banda.
La sintesi fra l'allegria della danza e la melanconia della musica (esaltata dalla tonalità minore, perchè in fondo è pur sempre una marcia funebre) esprime la gratitudine verso il fato per la vita lunga e prospera che ha concesso alla donna e nello stesso tempo la tristezza dell'estremo commiato.

Capita a chiunque di fare dei sogni affascinanti, strani, difficili da interpretare, ma anche degl'incubi dai quali non si vede l'ora di svegliarsi.  Akira Kurosawa, in questo film, i suoi ce li fa vedere tutti.



29 dicembre 2010

"Entro e non oltre"...

A qualcuno sarà capitato di soffermarsi a considerare il "burocratese", quella strana forma di demenza lessicale (absit iniuria verbis) che colpisce chiunque si trovi a lavorare in un ufficio pubblico: ma è mai possibile che persone per altri versi normali, quando prendono servizio vestendo i panni dei funzionari pubblici cadano preda di un demone che seguendo il copione della più tradizionale possessione diabolica li costringe a parlare in una lingua sconosciuta e non usata al di fuori degli uffici della Pubblica Amministrazione?
È possibile... eccome se è possibile.

Cominciamo con le denunce alle Autorità di P.S., i cosiddetti "processi verbali di denuncia": già qui c'è materia di studio. Perchè non è sufficiente dire "denuncia"? È proprio necessario che un atto amministrativo fra i più semplici - il mettere per iscritto la dichiarazione di un cittadino - venga ammantato di pretesa sacralità aggiungendo quel fumoso "processo verbale" che in tempi ormai lontani, ai nostri nonni e bisnonni poco meno che analfabeti, incuteva un reverenziale timore? Mah...
Basta una semplice interrogazione a Google per avere a disposizione un florilegio di ottusità burocratiche caratterizzate dai verbi all'imperfetto e al gerundio che sarebbero anche comiche, se non si trattasse di atti ufficiali redatti dalle Forze dell'Ordine.

Si passa poi alle disposizioni amministrative. Anche qui c'è abbondanza di materiale per studiare la psicologia del burocrate che invariabilmente "si porta" (come? In braccio? In risciò? Sulla canna della bicicletta?) anzichè "andare", che cita qualcosa "in epigrafe" anzichè "più sopra", che "rende edotto" il prossimo anzichè "informarlo di" qualcosa e via di questo passo.
La locuzione che trovo più stupida, quella che in burocratese indica un termine perentorio, l'ho usata come titolo: "Entro e non oltre". È ovvio che se una cosa dev'esser fatta "entro" il termine indicato non può essere fatta "oltre" quel limite temporale... dunque è del tutto superfluo usare la figura retorica dell'antitesi come rafforzativo, a meno che non si parta dal presupposto che i cittadini siano un po' stupidi e che sia necessario ripetere il concetto.
L'abuso di questa locuzione rasenta a volte il sublime. A commetterlo sono sia le strutture universitarie private per un Master universitario in traduzione professionale, sia la facoltà di lettere e filosofia di un'università statale, che riesce a infilare un "entro e non oltre" perfino nel bando di ammissione a un corso di perfezionamento in "Retorica e scrittura - Dall'analisi alla costruzione del messaggio" (a pagina 2, sesto paragrafo). Fantastico...
Se tutti cominciassimo a esprimerci usando simili espressioni ridondanti, l'effetto sarebbe surreale. Ecco qualche esempio, giusto per farci un'idea.
Al telefono con un amico:
"Ciao Massimo. Ti ho chiamato per chiederti se tu e non tuo fratello domani sera sei libero e non occupato: nel caso potremmo andare a cena insieme e non da soli."

Dal dottore:
"Buongiorno dottore. Sono venuto da lei perchè ultimamente sono depresso e non allegro".

Dal giornalaio:
"Salve: Vorrei la 'Gazzetta dello Sport' e non la 'Gazzetta Ufficiale'.

Al ristorante:
"Come primo vorrei spaghetti allo scoglio e non al ragù. Per secondo gradirei una grigliata mista di pesce e non di carne. Come contorno, patate fritte e non al forno.
Da bere mi porti una mezza minerale gassata e non naturale più un Müller Thurgau frizzante e non fermo.
Infine come dessert mi porti una una panna cotta e non montata, caffè e non decaffeinato e un whisky doppio malto e non singolo".

Questo modo di esprimersi è ridicolo... eppure i burocrati sono serissimi nel compiacersi di sfoggiare un simile, ottuso linguaggio.
Nel 1993 l'allora Ministro della Funzione Pubblica, Sabino Cassese, elaborò il "Codice di stile", che nelle intenzioni avrebbe dovuto insegnare ai burocrati delle amministrazioni pubbliche a comunicare con i cittadini in modo più chiaro, semplice e comprensibile. Com'era prevedibile, non sono bastati 17 anni per compiere questa titanica impresa.

Qualche cambiamento c'è stato, ora molti documenti sono più chiari se paragonati a quelli di un tempo,  ma rimane parecchio lavoro da fare per rendere meno ridicole e finalmente del tutto comprensibili le comunicazioni dello Stato ai cittadini. 
La prova sta nel fatto che anche nel "Codice di stile", negli esempi di documenti scritti prima in burocratese e poi riformulati in modo più chiaro e semplice, l'espressione "Entro e non oltre" persiste più viva e in salute che mai... come ogni malerba.

Chi volesse approfondire l'argomento troverà interessanti questi collegamenti:

28 dicembre 2010

Punk prima di te.

Partirò citando un vecchio brano di Enrico Ruggeri per arrivare, dopo un giro un po' tortuoso, a parlare di tutt'altro. Lo so, sono verboso e i miei monologhi non sempre sono rettilinei, ma tant'è...

Di alcuni artisti negli anni ho comprato pressochè tutta la discografia, ma a ben guardare l'ho fatto due volte: prima ho acquistato tutti i vinili, poi quando è cambiata la tecnologia ho comprato tutti i CD rimasterizzati dei vecchi albums.
Uno dei cantanti di cui ho l'opera omnia è Enrico Ruggeri, che apprezzo molto non solo per le personalissime armonie e sonorità ma anche per il lessico non comune e non banale che caratterizza i suoi testi, due qualità che lo accomunano a davvero pochi autori italiani: oltre a Ruggeri, così su due piedi mi vengono in mente solo Franco Battiato e Angelo Branduardi.

Una bella canzone di Enrico Ruggeri è "Punk prima di te", nella quale rivendica di essere stato un punk della prima ora, quando essere punk significava essere eccessivi, essere additati per quelle spille conficcate nelle carni (piercings ante litteram...) e guardati con sospetto per la troppa familiarità dei punks con le droghe.
Per la verità Ruggeri è stato un punk piuttosto soft se paragonato ai gruppi inglesi di quel periodo come i Sex Pistols, i Clash, gli Stranglers o i Damned, ma nonostante questo Ruggeri rivendica l'essere stato un pioniere, rivendica i suoi trascorsi di fronte a coloro che sono diventati (o si sono atteggiati a) punk in seguito, per moda, quando la strada era già stata tracciata, quando essere punk significava vendere tantissimi dischi, quando le creste di capelli multicolori alte mezzo metro e tenute dritte con il Tenax non suscitavano più ilarità o commenti a mezza voce.


Ho parlato di Ruggeri per prendere molto (ma moooooolto) alla larga il discorso che sto per fare a proposito degli audiovisivi tridimensionali e parlo di audiovisivi in senso lato perchè oltre al cinema 3D ci sono anche le fotografie.

Fino all'anno scorso quasi nessuno - a parte qualche appassionato - sapeva cosa fosse il 3D e in particolare la fotografia tridimensionale.
Dopo il fenomeno "Avatar" tutti apprezzano la spettacolarità del 3D, tant'è vero che il mercato ha prontamente fiutato l'aria e quest'anno in molti, a Natale, si saranno regalati il televisore 3D con almeno quattro paia di occhialini, anche se la tecnologia del 3D domestico è ai primordi e deve  ancora evolversi parecchio.

Ma oltre al cinema esistono anche le fotografie tridimensionali e io le faccio da 27 anni: è questo il (labile) parallelo che mi sono azzardato a fare fra Ruggeri pioniere del punk e il sottoscritto, in qualche modo piccolissimo pioniere della fotografia tridimensionale.

L'idea di fare fotografie tridimensionali mi venne nel 1983 al cinema guardando "Lo squalo 3-D", terzo episodio della serie, che era stato girato in 3D e si poteva vedere con occhialini a lenti polarizzate. La polarizzazione sfalsata di 90° fra immagine di destra e di sinistra e l'uso di occhialini con lenti corrispondenti permetteva d'inviare a ogni occhio la relativa immagine e di vedere il film con la tridimensionalità e i colori naturali. La tecnica sembrava abbastanza semplice e mentre guardavo il film decisi che ci avrei provato con le fotografie.
Per le foto 3D (in realtà quelle che ho fatto in passato sono diapositive) facevo due scatti - uno per l'occhio sinistro e uno per quello destro - e per vederle serviva o un complicatissimo sistema di due proiettori con lenti polarizzate sugli obiettivi e gl'introvabili occhialini a lenti polarizzate (per fortuna all'uscita dal cinema avevo requisito gli occhialini di tutta la combriccola di amici con cui c'ero andato e dunque ne avevo una quindicina), oppure occorreva avere un apposito visore simile a un binocolo in cui inserire di volta in volta le coppie di diapositive (una a destra e una a sinistra).

Ora con l'avvento della fotografia digitale è un po' più complicato vedere le foto in 3D. Bisogna sempre fare due scatti per ogni inquadratura, uno per l'occhio destro e uno per il sinistro, ma poi è necessario accostare con un editor fotografico la foto di destra a quella di sinistra per creare l'immagine finale che potrà essere vista in 3D semplicemente incrociando gli occhi come se si fosse strabici: man mano che lo sguardo converge le due immagini sembrano sovrapporsi fino a che fra le due appare una terza immagine - creata dal nostro cervello che unisce ciò che vede l'occhio destro a quello che vede il sinistro - e questa immagine avrà anche la dimensione della profondità.

Devo ammettere che questo modo di guardare le foto 3D affatica parecchio gli occhi perchè devono accomodare la visione in un modo innaturale, ma l'effetto a mio parere è notevole.

Più sotto ci sono alcuni esempi di foto 3D che ho scattato in giro per l'Italia.
Per facilitare l'incrocio degli occhi e quindi la corretta visione tridimensionale ho inserito un pallino nero a mo' di guida sopra le due foto; per vederle in 3D basta incrociare lo sguardo lentamente e leggermente, come se ci si volesse guardare la punta del naso, ma tenendolo focalizzato sullo schermo: si vedranno i due pallini avvicinarsi sempre di più l'uno all'altro.
Nel momento in cui s'incontreranno, apparirà una terza immagine e guardandola si vedrà la scena in tre dimensioni.

Occorre un po' di allenamento per riuscirci, per la verità è più difficile spiegare la tecnica che metterla in pratica, ma quando si è capito come incrociare gli occhi ci si mette un secondo a ottenere la tridimensionalità.

Parecchie migliaia di foto simili (ma fatte molto meglio delle mie...) e osservabili con la stessa tecnica sono in questo gruppo su Flickr.
Sullo stesso sito ci sono anche immagini anaglifiche da osservare con gli occhialini bicolori, quelli con una lente rossa e una azzurra.

Ho un grande rimpianto: il non potere, per ora, digitalizzare la grande quantità di diapositive 3D che ho scattato in tutti questi anni, alcune delle quali per me sono davvero belle (ma so di non essere un giudice imparziale).

Villa Contarini - Piazzola sul Brenta, PD.


Villa Contarini - Piazzola sul Brenta, PD.


Marostica, VI: Piazza degli Scacchi e Castello inferiore visti dal Castello superiore.


Siena - Facciata del Duomo.


Siena - Palazzo Comunale e Torre del Mangia.

27 dicembre 2010

"Un poco di luogo da potervi andare e ridurvisi tal volta a desinare, o a cena per ispasso"

Così Giorgio Vasari descrisse Palazzo Te, uno dei monumenti più splendidi di Mantova.

Ci sono alcuni luoghi in cui ogni tanto mi piace ritornare e Palazzo Te è uno di questi.
Si tratta di un edificio costruito in epoca rinascimentale allo scopo di accogliere Federico II Gonzaga nei momenti privati - un po' come i due Trianon di Versailles per il Re Sole - o come luogo di rappresentanza in cui ricevere gli ospiti di riguardo.
Le sale del palazzo che vanno dall'inizio dell'intinerario di visita fino alla "Camera dei Giganti" sono a mio parere dei veri gioielli: le decorazioni alle pareti e sulle volte sono davvero splendide, non mi stanco mai di guardarle e riguardarle, studiarle nei dettagli, apprezzare ogni volta qualcosa che non avevo notato durante le visite precedenti.

Quasi tutte le sale sono molto belle, ma alcune sono dei veri capolavori.
Mi riferisco in particolare alla "Camera del Sole e della Luna", caratterizzata dall'affresco della volta che con un effetto trompe l'œil - simile a quello del famoso oculo (link) della "Camera degli Sposi" di Palazzo Ducale, sempre a Mantova - ci fa vedere i carri del Sole e della Luna come se stessero passando al di là di un'apertura nel soffitto, all'imponente "Sala dei Cavalli", l'ambiente più grande del palazzo così chiamato perchè alle pareti figurano i ritratti dei cavalli allevati nelle scuderie dei Gonzaga, alla "Camera di Amore e Psiche" con il suo ciclo di affreschi ispirati alle "Metamorfosi" di Apuleio e da qui, passando attraverso la "Camera dei Venti", la "Camera delle Aquile", la "Loggia di Davide", la "Camera degli Stucchi" e la "Camera degli Imperatori", si arriva alla sala più famosa e impressionante di Palazzo Te: la "Camera dei Giganti", completamente affrescata rifacendosi alle "Metamorfosi" di Ovidio e in particolare alla caduta dei Giganti, dove per la collera di Zeus le architetture crollano travolgendo i Giganti mentre lo stesso Zeus e Giunone scagliano fulmini su di loro.

Dopo aver visitato il palazzo, attraversando il giardino oltre le peschiere su cui affaccia la Loggia di Davide si può raggiungere l'Appartamento del Giardino Segreto, luogo in cui Federico II Gonzaga si ritirava per meditare in solitudine.
È un ambiente molto raccolto e molto bello; sulle mura che circondano il giardino segreto c'è una serie di nicchie decorate con afferschi e bassorilievi ispirati alle favole di Esopo, mentre in fondo al giardino c'è  ciò che resta di un ninfeo, la riproduzione di una grotta che all'epoca ospitava giochi d'acqua ed era decorata con conchiglie, madreperla e vegetali come muschio e felci.

Naturalmente, quando si visita Mantova, non va dimenticato il Palazzo Ducale, il Castello di San Giorgio e, per le buone forchette, raccomando i tortelli di zucca, il sapido stracotto d'asino, la mostarda mantovana con cui accompagnare i bolliti o le scaglie di Grana e infine la torta sbrisolona.
Non sembri fuori luogo la divagazione gastronomica: così come lo spirito si nutre d'arte e bellezza, il corpo che lo accoglie si nutre di bontà culinarie... e dalle parti di Mantova se ne trovano alcune davvero deliziose.

Le foto sono tratte dal web e il copyright appartiene al loro autore.



Palazzo Te.

Pescherie.

Loggia di Davide.

Camera dei Giganti

Giardino Segreto - Accesso al Ninfeo.

26 dicembre 2010

"Or discendiam qua giù nel cieco mondo"

«Canto quarto, nel quale mostra del primo cerchio de l'inferno, luogo detto Limbo, e quivi tratta de la pena de' non battezzati e de' valenti uomini, li quali moriron innanzi l'avvenimento di Gesù Cristo e non conobbero debitamente Idio; e come Iesù Cristo trasse di questo luogo molte anime.»

Dopo la consueta breve introduzione, Vittorio Gassmann legge il quarto Canto dell'Inferno dove Dante e Virgilio entrano nel Primo Cerchio, il Limbo.


25 dicembre 2010

Buon Natale.

Natale 2010.

Per chi è credente, oggi è una giornata speciale, se non la più importante dell'anno.
Per chi non ha una fede, oggi è la giornata degli affetti e della famiglia.
Per chi è solo, non c'è peggior giornata di oggi.
In ogni caso, penso che oggi saremo tutti abbastanza impegnati nonostante sia festa.

Lascerò dunque parlare le immagini e la musica di alcune "carols", i canti natalizi della tradizione anglosassone.

Buon Natale a tutti, in particolare agli amici di Finanza Online (in rigoroso ordine alfabetico) Alebon73, Ansiana, Cambiasso19, Chipane, Cismax, DJUBSNG, Gassato, Julio70, Loucyfer, Mamma Umiltà, Oshoenzo, Paccamora, Robert K., Torre1, Vinicio1 e Zino77 - che sono i primi inter pares - e a tutti gli altri partecipanti al forum sul gas naturale.

Immagini prese dal Web; il copyright appartiene al loro autore.










23 dicembre 2010

La voce di Dio.

Qualcuno ha definito il suono dell'organo a canne "La voce di Dio", per la potenza sonora che l'organo da chiesa sviluppa (ascoltare un organo da chiesa è un'esperienza multisensoriale: oltre che il suono percepiamo a livello fisico anche le vibrazioni prodotte dalle note più basse) e per il legame indissolubile fra questo strumento e la liturgia cristiana.
Che si sia credenti o no, è difficile rimanere indifferenti a certi brani per organo, soprattutto se li si ascolta in  quelle rare circostanze favorevoli che con un po' di fortuna ogni tanto si verificano.

Mi è capitato parecchie volte, passeggiando per la mia città, di passare davanti a una chiesa e sentire l'organo suonare. Per me il suono di un organo è un richiamo irresistibile: sono sempre entrato in quelle chiese - che in orari lontani dalle funzioni religiose sono in genere deserte - e mi sono seduto ad ascoltare l'organista che si esercitava o che provava il repertorio per un concerto.
Mi piace essere l'unico spettatore di un musicista che si esercita, il quale quasi mai si accorge che c'è qualcuno che lo sta ascoltando... ed è divertente vedere la sua espressione stupita quando, alla fine di un brano che ho particolarmente apprezzato, ringrazio applaudendo con discrezione: quasi sempre si alza dalla tastiera, impiega un po' a individuarmi nella penombra della chiesa deserta e fa un cenno quasi imbarazzato di saluto.

Poter suonare un organo da chiesa è uno dei miei sogni proibiti... ma chissà che un giorno non accada: come recita il famoso aforisma, «Nulla è impossibile, tutt'al più è assai improbabile».
In attesa di quell'improbabile giorno mi esercito su di una tastiera elettronica: in fondo basta chiudere gli occhi per immaginare di essere seduti all'organo del Boardwalk Hall Auditorium di Atlantic City...

Due bellissime musiche per organo, la "Ciaccona in Re minore" e soprattutto la "Ciaccona in Fa minore" di Johann Pachelbel, fanno parte del novero di quei brani che, come dicevo in un precedente intervento ("Euterpe"), porto sempre con me nel mio "lettore MP3 interno":  conosco a memoria le due ciaccone talmente bene da poterle riprodurre nella mente e "ascoltarle" in qualsiasi momento.

Ho cercato due buone esecuzioni, ma in rete non ne ho trovata alcuna che mi soddisfacesse; propongo dunque le "meno peggio" che sono riuscito a trovare.
Buon ascolto.


Johann Pachelbel - Ciaccona in Re minore.




Johann Pachelbel - Ciaccona in Fa minore.

22 dicembre 2010

"Il Più Bel Fior Ne Coglie".

Spero che nessuno fra chi legge s'offenderà se oggi mi prenderò la libertà di esercitarmi nella figura retorica dell'invettiva, parlando della classe politica per arrivare all'Accademia della Crusca.
Sia chiaro da subito che tale invettiva non è rivolta a una specifica parte politica: la rivolgo a tutti quei politici che, per come si esprimono, è lecito e doveroso definire "ignoranti".

Quando sento un parlamentare - o peggio un ministro - commettere certi errori di grammatica, vorrei potergli dire ciò che penso della sua professionalità e della sua autorevolezza.
Si, perchè spesso a commettere errori imperdonabili sono le medesime persone che menano vanto di essere state "prestate alla politica", come se il governo di un  Paese e la promozione dei cittadini fossero qualcosa che chiunque può improvvisare con leggerezza o a cui ci si può dedicare anche a tempo perso e senza avere alcuna formazione specifica.
Come se ammettere di essere del tutto incompetenti ma nonostante ciò svolgere ugualmente - da incompetenti - un lavoro d'importanza capitale per la nazione, fosse qualcosa di cui essere fieri.

Personalmente non andrò mai a farmi sistemare i capelli da qualcuno che, dopo aver fatto il tipografo per tutta la vita, di punto in bianco e senza aver mai prima di allora preso in mano pettini e forbici abbia deciso di aprire un salone di parrucchiere.
Né sceglierò mai come commercialista una persona che fino al giorno prima abbia fatto il salumiere.
Né andrò mai a cena in un ristorante il cui cuoco stia ai fornelli solo da poche settimane perchè in precedenza era un fioraio.
Né mi farei mai confezionare una giacca da un barista prestato alla sartoria... anche se fosse bravissimo come barista.
Eppure, senza esitazione alcuna mandiamo in Parlamento dei grandi lavoratori  (che siano bravi artigiani, impiegati efficienti o lungimiranti capitani d'industria poco importa) i quali però sfortunatamente sono dei perfetti incompetenti nell'alto compito di governare un Paese e definire il futuro della nazione.

Ci sono politici di rango preminente che, scagliandosi contro quelli che chiamano "i professionisti della politica", si piccano di aver sempre badato solo a lavorare sodo e di essersi costruiti una solidissima posizione sociale oltre che economica, mentre degli avversari che hanno fatto la carriera politica dicono che «... nella loro vita non hanno mai prodotto nulla se non chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere!».
Il bello è che non colgono l'assurdità di tale accusa: che altro dovrebbe fare un parlamentare, cioè un professionista della politica mandato a rappresentare in Parlamento i suoi elettori, se non parlare?
Quello è il suo lavoro: governare il Paese attraverso leggi e regole che vanno decise con la dialettica e il confronto fra le parti che siedono in Parlamento. Dire che l'eloquenza è lo strumento di lavoro di un politico è perfino tautologico.
La politica È parola, la democrazia È parola! E dove non c'è un Parlamento in cui gli eletti dai cittadini possano parlare liberamente, non c'è la democrazia ma c'è quasi senza eccezioni il suo contrario: una dittatura.

Un discorso a parte meriterebbero poi quelle locuzioni tanto colorite quanto assurde - ma che evidentemente fanno presa sugli elettori - che i politici amano ripetere a mo' di tormentoni ritenendole evocative di chissà cosa e che in breve tempo diventano degli slogan veri e propri: nessuno chef che aspiri a scalzare Massimo Bottura o Ferran Adrià dalla guida Michelin per prenderne il posto si azzarderebbe mai a definire la loro una "cucina cucinante" né un estroso pittore emergente accuserebbe mai i grandi maestri di fare una "pittura pitturante", né si sentirà mai un attor giovane talentuoso e di belle speranze definire quello dei mostri sacri  del palcoscenico un "teatro teatrante", eppure vi sono politici che definiscono l'attività dei loro avversari "politica politicante"... e ammetto che capire cosa s'intenda con questa fumosa locuzione è cosa che si pone al di là delle mie capacità perchè ancora non ci sono riuscito.

L'oratoria, che non a caso viene spesso definita un'arte, non si può improvvisare: per diventare oratori efficaci occorre un lungo studio prima e una lunghissima pratica poi. La base dell'arte oratoria non può che essere un'ottima conoscenza della lingua.

Ora, capisco che si possa far bene il proprio lavoro di politico anche senza guardare troppo alla forma, ma in determinate situazioni la forma diventa essa stessa sostanza: quando nel 2008 sentii un'intervista al Ministro della Cultura che al Festival del Cinema di Cannes rispondendo al giornalista che gli chiedeva cosa ne pensasse del film italiano in concorso disse, testuali parole, «Penso che questo film è un successo per il cinema italiano», mi sono cadute le braccia... ma basta seguire un qualsiasi programma televisivo di approfondimento politico per rendersi conto del fatto che moltissimi parlamentari commettono, nel parlare, un numero spropositato di errori grammaticali che a uno studente di 11~12 anni costerebbe la promozione.

Stando così le cose, la missione dell'Accademia della Crusca è assai ardua e forse destinata al fallimento, se la nostra bella lingua viene maltrattata a tal segno anche da chi, in virtù dell'ufficio che ricopre, su questo fronte dovrebbe essere irreprensibile .
In una situazione ideale l'Accademia avrebbe grande visibilità e verrebbe fatta conoscere agli studenti fin dalla scuola secondaria di primo grado affinchè potessero appassionarsi alla lingua italiana anzichè accontentarsi (e spesso vantarsi ostentandolo...) del lessico limitato che li caratterizza... xò i danni ke stà facendo la skrittura takigrafika li vedremo sl fra qlk anno, xkè già adesso le nuove generazioni si esprimono  sempre d + kosì e fra nn molto nn  sapranno + skrivere se nn in qst modo.
Ma le situazioni ideali raramente sono di questo mondo... quindi l'Accademia rimane ignota ai più.
Ed è un vero peccato, perchè la nostra lingua meriterebbe di essere conosciuta e parlata molto meglio, con una maggior varietà lessicale e rispettandone le regole. Soprattutto da chi dovrebbe essere di esempio.

Questo è l'indirizzo del sito web dell'Accademia della Crusca:
http://www.accademiadellacrusca.it/index.php

21 dicembre 2010

La Nascita Di Venere.

Con tutto il rispetto per Julia Roberts, la cui bellezza è fuori discussione e che nella pubblicità del caffè si dimostra ironica, la Venere di Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi - meglio conosciuto come Sandro Botticelli - è tutt'altra cosa.

Andai a Firenze per vedere questo capolavoro quando fu rimesso in mostra agli Uffizi subito dopo il restauro del 1987 e ricordo ancora l'emozione che provai quando giunsi al suo cospetto: la sala in cui era collocato era semibuia e il quadro, illuminato da una luce morbida e non troppo intensa, sembrava fluttuare nel nulla... o sorgere da un mare di buio.

Ricordo che mi colpì il collo di Venere, innaturalmente lungo tanto da assomigliare a quelli delle donne di Modigliani, ma a un dipinto di questa forza si perdona senz'altro una piccola licenza artistica... e rimane un capolavoro unico anche se potremmo discutere sull'idiosincrasia di Botticelli verso il Canone di Policleto.



 Filmato ad alta risoluzione, consiglio la visione a schermo intero.


20 dicembre 2010

Fête des Lumières - Lyon, Francia.

Penso che per descrivere la Fête des Lumières - che ha luogo tutti gli anni a dicembre a Lione - le parole siano superflue, più che inadeguate.
Meglio alcuni video dai quali possiamo appena avere un'idea di cosa succede nelle notti in cui la città e i palazzi prendono vita, quelle notti in cui nessuno può evitare di tornare per un po' bambino e abbandonarsi alla fantasia sognando a occhi aperti.




19 dicembre 2010

"Per me si va nella città dolente..."

«Canto terzo, nel quale tratta de la porta e de l'entrata de l'inferno e del fiume d'Acheronte, de la pena di coloro che vissero sanza opere di fama degne, e come il demonio Caronte li trae in sua nave e come elli parlò a l'auttore; e tocca qui questo vizio ne la persona di papa Cilestino.»

Quante volte abbiamo sentito citare - o abbiamo  citato noi stessi  - il famoso endecasillabo "Lasciate ogni speranza voi ch'entrate"....
Il mattatore non solo ci offre una splendida interpretazione del terzo Canto dell'Inferno, ma ce ne dà anche una spiegazione per sommi capi.


18 dicembre 2010

“Stat Crux Dum Volvitur Orbis”



“Stat Crux Dum Volvitur Orbis”, cioè "La Croce resta fissa mentre il mondo ruota". È il motto dell'Ordine Certosino.

Anni fa, mentre ero in viaggio verso la Calabria, ebbi modo di visitare la Certosa di San Lorenzo a Padula (Salerno) e fu come fare un tuffo nel passato. Quel giorno oltre a me c'erano pochissimi visitatori: una vera fortuna perchè non essendoci quasi nessuno in giro si poteva provare la sensazione di essere soli, immersi in quel silenzio e in quella solitudine che la loro Regola imponeva ai monaci certosini.
Perfino i gatti che dalle Certose prendono il nome (i certosini appunto, quei pacifici micioni dall'espressione dolce col pelo grigio-azzurro e gli occhi dorati introdotti in Europa dai cavalieri Templari, i quali ne fecero dono ai monaci che li ospitavano per difendere dai topi le dispense ma soprattutto le preziose biblioteche) sembrano osservare la regola del silenzio: i felini di questa razza infatti miagolano assai di rado.

L'atmosfera raccolta delle celle ombrose e dei giardinetti circoscritti da alte mura a esse attigui in cui i monaci passavano in solitudine la maggior parte del tempo contrasta con l'immensità del chiostro, un rettangolo di 140 per 86 metri. Davvero notevole è poi lo scenografico scalone che, in fondo al chiostro, porta dal piano terra al primo piano: due rampe a pianta ellittica che sembrano più un'esedra che una scalinata.

Vale senz'altro la pena di visitare la Certosa di Padula, una delle Certose più importanti nella storia dell'Ordine e qualificata dall'UNESCO come patrimonio dell'umanità.
Le foto e il filmato sono tratti dal web e il copyright appartiene al loro autore.



Il Chiostro.

Una cella e il suo giardino.

Loggia affrescata di una cella.

17 dicembre 2010

Eptacaidecafobia.

Brutta giornata oggi, per chi soffre di eptacaidecafobia: è il 17 ed è pure venerdì. C'è chi oggi non si muove di casa per timore che accada chissà quale cataclisma.

L'eptacaidecafobia (dal greco 'epta' (επτά) = 'sette', 'kai' (και) = 'e', 'deca' (δεκα) = 'dieci' e 'fobia' (φοβία) = 'paura') è il timore irrazionale che il numero 17 suscita nelle persone superstiziose.
È risaputo che il numero 17 è oggetto di attenzioni particolari a ogni livello e non solo da chi è superstizioso, ma anche da coloro che in forza di tale superstizione potrebbero avere uno svantaggio economico. In molte stazioni ferroviarie non esiste il binario numero 17, sugli aerei non esiste la fila di sedili numero 17, in Formula 1 non esiste la vettura numero 17 e in molti alberghi la camera numero 17 è bandita: il timore è che i clienti rifiutino di pagare per stare in un luogo identificato dall'infausto numero e quindi si fa prevenzione cassando il 17.

Difficile dire quale sia la vera origine dell'avversione per il numero 17.
C'è chi l'attribuisce al fatto che l'anagramma del 17 scritto in numeri romani (XVII) sia "VIXI", che in latino significa "ho vissuto" e che ai tempi della Roma antica veniva scolpito sulle lapidi funerarie. Tale richiamo alla morte non è ben visto da molti superstiziosi.
Secondo la Smorfia napoletana il 17 è 'a disgrazia 

Quanto al venerdì, viene considerato infausto perchè secondo le Scritture sarebbe il giorno della morte di Gesù Cristo. In epoca romana il venerdì era giorno di 'scadenze tecniche' nient'affatto gradite al popolo, perché di venerdì si dava esecuzione alle sentenze di condanna a morte e sempre di venerdì aveva luogo l'esazione delle tasse.

Personalmente non credo che un numero, una giornata, un micio nero, un po' di sale versato, uno specchio rotto, il passar sotto una scala o il colore viola possano influenzare negativamente il corso della mia vita.
Adoro i gatti, quindi anche quelli neri che nell'Egitto dei faraoni erano considerati sacri e adorati; addirittura se scoppiava un incendio in una casa dove c'era un gatto, questo doveva essere messo al sicuro prima di ogni altra persona o cosa. 
In un'altra "civiltà", la nostra, i gatti neri sono invece stati associati alla stregoneria e anche loro hanno dovuto subire la Shoah storica ad opera dell'Inquisizione che li metteva al rogo come esseri vicini al demonio; ma per i mici neri non è ancora finita, ancor oggi devono subire una Shoah permanente perché ci sono automobilisti i quali vedendone uno che tenta di attraversare la strada davanti a loro fanno il possibile per arrotarlo deliberatamente. 
L'ho visto con i miei occhi più di una volta, che tristezza lo spettacolo desolante dell'ignoranza e della stupidità umana...

Per quasi 40 anni ho abitato in una casa sotto il cui tetto c'era il nido di una famiglia di civette. Di notte le ho sempre sentite lanciare i loro richiami e tutt'al più sbuffavo perché m'impedivano di prender sonno, ma certo non ho mai pensato che potessero portarmi sfortuna o presagire morte e disgrazie. 
Al contrario mi piaceva l'idea che l'animale simbolo di Athena, dea delle arti, della saggezza e della sapienza, avesse eletto la mia casa come suo luogo di dimora.

Chissà in quanti, oggi, limiteranno al minimo le attività per timore del venerdì 17. Magari si perderanno qualche ottima occasione, ma non lo sapranno mai. Per loro fortuna.

15 dicembre 2010

Il mattatore - 1.

Trovare aggettivi per definire la grandezza di Vittorio Gassman è talmente arduo che nemmeno ci provo: perderei tempo.

Più che il Vittorio Gassman attore di cinema - che pure ci ha lasciato pellicole memorabili - io preferisco il Vittorio Gassman attore di teatro, il fine dicitor di poesie e di monologhi, anche se devo ammettere che per i miei gusti ogni tanto eccedeva un po' con il "birignao" e con l'impostazione della voce. 
D'altra parte non si parla di un artista qualunque ma si parla del grande attore formatosi negli anni '40 insieme ai più grandi artisti del teatro italiano del dopoguerra all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica, il ché spiega tutto.

Per onestà va anche detto che Gassmann stesso si rendeva perfettamente conto della cosa e senza prendersi troppo sul serio ci scherzava pure su, come vedremo prossimamente.

In questa prima puntata, il Gassman fine dicitor di poesie recita "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi" di Cesare Pavese, "L'infinito" di Leopardi e "A Silvia", essa pure di Leopardi.




14 dicembre 2010

Spoon River - 2

Altre tre voci dalla collina di Spoon River, altre tre poesie di Edgar Lee Masters:


Alexander Throckmorton

Da giovane le mie ali erano forti e instancabili
ma non conoscevo le montagne.
Da vecchio conoscevo le montagne
ma le mie ali stanche non potevano seguire la visione.
Il genio è saggezza e gioventù.



Schroeder il pescatore

Sedevo sulla riva oltre Bernadotte
e gettavo molliche nell'acqua,
per vedere i pesciolini combattere
finché il più forte conquistava la preda.
Oppure andavo al mio piccolo pascolo,
dove i pacifici maiali dormivano tranquilli nella broda,
o si annusavano amorosamente,
e versavo un canestro di meliga gialla,
e li guardavo spingersi e strillare e mordersi
e calpestarsi per arrivare al granturco.
E vidi la tenuta di Christian Dallman,
di più di tremila acri,
ingoiare il campicello di Felix Schmidt,
come un luccio inghiotte un pesciolino
e dico se c'è qualcosa nell'uomo
- spirito, coscienza, o alito divino -
che lo rende diverso dai pesci e dai porci,
vorrei vederlo all'opera!



Calvin Campbell

Voi che recalcitrate contro il Destino,
ditemi come mai su questo pendio
che precipita al fiume,
esposto al sole e al vento del sud,
questa pianta trae dall'aria e dal suolo
del veleno e diventa edera amara?
E questa pianta trae dallo stesso suolo
e dalla stessa aria dolci elisiri e colori
e diventa corbezzolo?
E prosperano entrambe?
Voi potete biasimare Spoon River per ciò che è,
ma chi biasimate per la volontà dentro di voi
che nutre sè stessa e vi rende gramigna,
datura, dente di leone o verbasco
e che non può mai usare alcun suolo o aria
per rendervi gelsomino o glicine?


13 dicembre 2010

Geniale.

Io rimango sempre ammirato di fronte al genio, quale che sia l'àmbito in cui si esprime.
La tipica "architettura organica" di Antoni Gaudì - che ha il suo apice nella cattedrale della Sagrada Família a Barcellona - è qualcosa di straordinario, ma alcuni dei suoi edifici che assomigliano a scheletri, come la "Casa Battló" a Barcellona, sono quantomeno ansiogeni.


Casa Battló

Non avrei però mai immaginato che esistesse pure la liuteria organica, eppure qualche genio ha pensato anche questa. Il risultato è un'animazione che io trovo geniale: qualcosa a metà fra un improbabile strumento musicale e una creatura aliena.
Quest'oggetto starebbe senz'altro bene in una stanza della "Casa Battló" (link).
 



Cecilia Gallerani...

...meglio conosciuta come la "Dama con l'ermellino", un capolavoro di Leonardo Da Vinci in veste di pittore.
Un dipinto intrigante, oltre che molto bello: difficile stabilire se lo sguardo più "furbetto" sia quello della dama o quello dell'ermellino e a cosa stesse pensando Cecilia Gallerani per avere quell'espressione da "Io so ma non dico"...

Questo collegamento apre una pagina con una descrizione approfondita del dipinto, mentre invece questo apre una sua immagine ad alta risoluzione.
Qui sotto infine c'è un video che suggerisco di guardare a schermo intero: la qualità è ottima.

La musica del video è "L'arrivo della regina di Saba", tratta dall'oratorio "Salomone" di Georg Friedrich Händel.


12 dicembre 2010

"Io, a quale corpo appartengo?"

Di Franco Battiato si può dire di tutto ma non che i suoi testi siano banali. Anzi...
 
La prima volta che ascoltai una sua canzone fu nel 1972 e il brano s'intitolava "La convenzione". All'epoca sembrava una canzone di fantascienza; una voce da un futuro lontano ci raccontava di quando l'uomo abitava ancora una Terra sovrappopolata e di come molti andarono su Giove e Venere in cerca di nuove terre da colonizzare.
In alcuni passaggi il testo aveva una sintassi strana, come nel passaggio in cui dice "Un po' restammo quaggiù sotto il mare".  Per la verità il testo diventa sempre più strano man mano che la canzone va avanti e termina con quelle che all'epoca venivano definite "visioni lisergiche".


In seguito ascoltai con attenzione i successivi album di Battiato; mi piaceva la musica elettronica e nei suoi dischi i sintetizzatori e i Moog si sprecavano, ma sopratutto mi affascinava l'uso che Battiato ha sempre fatto della lingua, con termini insoliti, desueti o non comuni raramente usati nei testi delle canzoni.
 
Penso che abbia toccato il massimo dell'azzardo nell'album "Pollution", quando non solo cantò una canzone, "Areknames", leggendo il testo a rovescio, da destra a sinistra ("areknames" = "se mancherà") ma ebbe l'ardire - è bene ricordare ch'eravamo nel 1972, giusto per confrontare i suoi testi con quelli dei contemporanei - di usare la formula per il calcolo della portata di un condotto come testo per una canzone. Immaginate la reazione di chi, nel 1972, sentiva uno strano personaggio con gli occhiali e una capigliatura degna dell'epoca cantare

"La portata di un condotto
è il volume liquido
che passa in una sua sezione
nell'unità di tempo:
e si ottiene moltiplicando
la sezione perpendicolare
per la velocità che avrai del liquido.
A regime permanente
la portata è costante
attraverso una sezione del condotto."

In quel disco c'era però anche un altro brano, "Beta".
Chi parlava era una  creatura appartenente al gruppo dei Beta, che poteva dire con orgoglio "La violenza non ho nella mente".  Sembrava la famosa particella di sodio ante litteram...
Alla fine del brano, però, Battiato metteva un vero carico da 11 quando, con il tema da "La Moldava" di Bedřich Smetana in sottofondo, diceva:

"Dentro di me vivono la mia identica vita
dei microrganismi che non sanno
di appartenere al mio corpo...
Io a quale corpo appartengo?"

Bella domanda davvero. Mi fece riflettere parecchio.
Sono passati 38 anni da allora e me lo sto ancora chiedendo: io, a quale corpo appartengo?

Il mondo di notte.

Per qualcuno l'insonnia è una maledizione. Per altri significa invece avere la rara opportunità di vedere aspetti e del mondo che di giorno ci sono preclusi; tutti noi qualche volta abbiamo camminato nella nostra città di notte e se il nostro stato d'animo era quello giusto di sicuro ci ha dato sensazioni che di giorno non potrebbe mai darci.
Se poi si ha anche la fortuna di abitare in quelle parti del mondo dove la notte e la natura si alleano per darci degli spettacoli che non è un'iperbole definire mozzafiato, allora diventa difficile negare il fatto che chi di notte fa la cosa più ovvia e naturale - dormire - davvero non sa cosa si perde.

Chi abita a nord del Circolo Polare Artico può ogni tanto godersi lo spettacolo unico delle aurore boreali: prima o poi mi toglierò la soddisfazione di andare a vederne una con i miei occhi.
Intanto, sul sito "The World At Night", possiamo vedere delle foto straordinarie del mondo fra il tramonto e l'alba ma soprattutto possiamo vedere lo spettacolo del cielo di notte.

Questo è il collegamento alla pagina principale del sito "The World At Night" (Il Mondo DI Notte) e questo è il collegamento alla pagina delle gallerie.

 "The World At Night" è anche su Facebook, su Instagram e su Twitter.



11 dicembre 2010

Euterpe.

Euterpe (Ευτέρπη), la Musa della musica: lei ha sempre spazio nella mia vita.
Non so se succeda a tutti, se sia cosa comune, ma io ho la capacità di ascoltare alcune delle mie musiche preferite "suonandole" nella mia mente esattamente come se le ascoltassi da un impianto audio, con tutti i dettagli, perfino il catenacciamento dei tasti o del pedale in alcuni brani per organo. Le conosco davvero a memoria, ascolto quelle musiche da decenni e le ho sempre avute con me: nelle musicassette prima, poi sul walkman, in seguito sull'MP3 e ora certamente non mancano dall'hard disk dell'automobile.

Uno dei brani che mi danno più emozioni - e che voglio condividere con voi - è il terzo movimento Allegro del Concerto in Sol minore (RV107 o, nella vecchia denominazione, F. XII n°6) per violino, flauto, oboe, fagotto e basso continuo di Antonio Vivaldi: la struttura è quella ipnotica del "basso ostinato", otto note ripetute nella stessa sequenza dal basso che sostiene gli altri strumenti. Per me questa musica è sublime.

Buon ascolto.

 

Antologia di Spoon River.

È uno dei miei "libri della vita", anche se sembra un ossimoro definire "libro della vita" una raccolta di epitaffi e di racconti in cui i morti stessi ci parlano delle loro vite e di come le hanno perdute.
I trapassati di Spoon River raccontano le loro storie dall'alto dai loro avelli nel cimitero sulla collina vicina al paese e, insieme a storie di vite travagliate e drammatiche, ogni tanto ci sono anche parole di speranza. Una delle poesie che ho segnato nell'indice (e che per la verità è più simile a un elenco telefonico non ordinato alfabeticamente, dal momento che i titoli delle poesie sono i nomi dei trapassati che ci parlano...) per trovarla più facilmente è


Dippold, l'Ottico
di Edgar Lee Masters


Che cosa vedete adesso?
Globi di rosso, giallo, porpora.
Un momento! E adesso?
Mio padre e mia madre e le mie sorelle
Sì. E adesso?
Cavalieri in armi, belle donne, visi gentili.
Provate questa.
Un campo di grano - una città.
Benissimo! E adesso?
Una donna giovane e angeli chini su di lei.
Una lente più forte! E adesso?
Molte donne dagli occhi vivi e labbra schiuse.
Provate queste.
Soltanto un bicchiere sul tavolo.
Oh, capisco! Provate questa lente!
Soltanto uno spazio vuoto, non vedo nulla in particolare.
Bene, adesso!
Pini, un lago, un cielo d'estate.
Questa va meglio. E adesso?
Un libro.
Leggetemi una pagina.
Non posso. Gli occhi mi sfuggono al di là della pagina.
Provate questa lente.
Abissi d'aria.
Ottima! E adesso?
Luce, soltanto luce che trasforma il mondo in un giocattolo.
Benissimo, faremo gli occhiali così.



"Nel mezzo del cammin di nostra vita..."

Penso che un omaggio al Sommo Poeta sia il miglior modo per iniziare quest'avventura.
A scuola, alle medie e ai miei tempi, si usava ancora studiare a memoria le poesie e il brani degli autori più importanti e a me toccò imparare il Canto Primo dell'Inferno.
All'epoca non ero affatto entusiasta di dover memorizzare quella serie infinita di endecasillabi dei quali a malapena riuscivo a comprendere il significato ma, ora che ho da tempo superato il "mezzo del cammin di nostra vita", la Divina Commedia è una delle mie letture preferite e ringrazio la mia insegnante d'italiano per avermi inconsapevolmente dato questo imprinting.

Cominciamo con il Canto Primo dell'Inferno.
Fra tutte le versioni che si trovano in rete, pubblicherò quelle lette da Vittorio Gassman: mi sembrano le migliori. Prima di ogni lettura, il grande attore ci propone anche una sintesi, una spiegazioni per grandi linee del canto.