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13 marzo 2011

"Pape Satàn, pape Satàn aleppe!"

«Canto settimo, dove si dimostra del quarto cerchio de l'inferno e alquanto del quinto; qui pone la pena del peccato de l'avarizia e del vizio de la prodigalità; e del dimonio Pluto; e quello che è fortuna.»

Qualche giorno fa, mentre rileggevo il settimo Canto dell'Inferno, lasciando scorrere il flusso dei pensieri mi sono ritrovato a chiedermi se il Sommo Poeta, qualora fosse vissuto in quest'epoca, avrebbe scritto ancora "Poi si rivolse a quella 'nfiata labbia"  per parlar di Pluto: probabilmente no,  perchè a causa della smania per il silicone che ha colpito le donne di spettacolo (e molte danarose popolane dal dubbio senso estetico) negli ultimi 20 anni, il lettore disattento o superficiale avrebbe potuto pensare che Dante si riferisse a Nina Morić, Alba Perietti, Valeria Marini o Loredana Lecciso. O a qualcuna delle signorine che fino a uno o due mesi fa dimoravano nel residence di Via Olgettina 65 a Milano, tutte uguali una all'altra e tutte con le labbra rigorosamente e innaturalmente rigonfie.

Nel settimo Canto dell'Inferno si parla di coloro che in vita indulsero in tre dei sette peccati capitali: gli avari, gl'iracondi, gli accidiosi e infine i prodighi.


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