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11 settembre 2011

11 settembre, 2001 ~ 2011.

Ci sono eventi talmente grandi - o talmente impossibili da metabolizzare - che rimangono impressi nella memoria di ogni persona, segnano un solco incolmabile fra il "prima" e il "dopo" l'evento e dopo nulla è più come prima.
La cosa più impressionante è che fra i ricordi non rimane impresso per sempre solo l'evento epocale, ma con esso si cristallizza nella memoria anche la nostra vita: a distanza di anni, di decenni, ci ricordiamo esattamente dov'eravamo e cosa stavamo facendo nel momento in cui abbiamo appreso la notizia dell'evento che cambia il mondo.

Il 3 giugno 1963 avevo quattro anni, dunque ero troppo piccolo per sapere chi fosse Giovanni XXIII e per sapere chi fosse il papa. Ho tuttavia un ricordo straordinariamente vivido della sua morte: allora frequentavo un asilo gestito da suore e ricordo la loro disperazione per la morte del papa.
Il giorno dopo nessuna delle suore, che solitamente erano molto affettuose con noi bambini, aveva voglia di sorridere e ricordo perfettamente due delle suore che si occupavano di me piangere a dirotto, sconsolate. Per me le suore che piangevano in quel modo erano qualcosa di mai visto prima, non capivo cosa stesse succedendo intorno a me e mi spaventai molto.

Sei mesi dopo, il 22 novembre 1963, ero sempre troppo piccolo per sapere chi fosse John Fitzgerald Kennedy e quale fosse la portata storica del suo assassinio, però anche questo ricordo è indelebile nella mia memoria: ero in auto con i miei genitori, stavamo tornando a casa dopo aver fatto visita a mia nonna e ricordo perfettamente - come se l'avessi sentita poco fa - la voce di mio padre che, strada facendo, parlando con mia madre diceva "Hanno ammazzato Kennedy" e poco dopo "Kennedy è morto, chissà adesso cosa succede". 
Era lo sgomento nella sua voce, un tono che non avevo mai sentito prima, a turbarmi e nonostante fossi così piccolo capivo che stava succedendo qualcosa di talmente grande da spaventare mio padre... che a quell'età ogni bambino vede come una figura onnipotente e invincibile.

Con un salto di 18 anni si arriva al 1981 e alla strage della stazione di Bologna. Anche a questo evento posso collegare la mia vita perchè ricordo dov'ero, con chi, i commenti... tutto.

Infine l'11settembre 2001, che non è  un'iperbole definire il giorno che ha cambiato il mondo. Perfino più dei giorni in cui scoppiarono la prima e della seconda guerra mondiale.
Tutti ricordiamo benissimo quel pomeriggio perchè già la notizia di un doppio attentato compiuto lanciando degli aerei pieni di gente innocente contro due grattacieli in quella che nel mondo è conosciuta come "la" metropoli era un'enormità.
Alla notizia si aggiungevano le immagini che senza sosta passavano in televisione e che sembravano le sequenze di uno dei tanti films catastrofici che più o meno tutti abbiamo visto almeno una volta. Ma quello non era un film, quelli non erano effetti speciali: era tutto tragicamente vero... ed era tutto al di là dell'immaginabile.

Di quei giorni ricordiamo l'allarme su scala planetaria, il blocco mondiale del traffico aereo, le borse chiuse per una settimana, le ipotesi su cosa fosse veramente accaduto, la sequela di attentati in diverse parti del mondo perpetrati negli anni successivi, le guerre iniziate in nome della pace in diversi Paesi e non ancora finite... e dopo i ricordi collettivi ci sono i ricordi personali, le immagini di quelle ore che ognuno di noi si porta dentro perchè ci hanno colpito più di ogni altra fra quelle che in quei giorni e in questi anni ci sono state mostrate a profusione dai mezzi d'informazione.

L'immagine indelebile che io ho dell'11 settembre 2001 sono le brevissime ma agghiaccianti sequenze filmate - pochi secondi nella realtà ma che devono essere stati lunghi come un incubo per i protagonosti - in cui si vedono le persone intrappolate ai piani alti dei due grattacieli che in preda al terrore si lanciano nel vuoto scegliendo (chissà se e fino a che punto deliberatamente) la certezza di una fine relativamente rapida all'incubo del fuoco sempre più vicino... o dell'ignoto a cui stavano andando incontro.
Il ricordo di quelle persone che precipitando scalciavano, si agitavano, disegnavano figure nell'aria come se stessero disputando una tragica e mortale gara di tuffi dalla piattaforma o semplicemente si lasciavano caderere a braccia aperte come dei crocefissi, mi turba ancora oggi.
Chissà cosa passò nella loro mente, quali siano stati i loro pensieri e a chi avranno pensato durante quel volo durato l'eternità di pochi secondi... il mio stomaco si chiude ancora, se ci penso.

Ricordo poi la crudeltà con cui la sorte - ineluttabile - ha voluto a tutti i costi accanirsi contro un uomo e una donna di nazionalità dominicana che lavoravano al World Trade Center: si salvarono entrambi dagli attentati e dai crolli e stavano tornando nel loro Paese, lui per iniziare un nuovo lavoro e lei per andare a trovare i parenti.
Quale fosse il loro destino, però, era già scritto: morirono insieme ad altre 263 persone esattamente due mesi dopo, il 12 novembre 2001, quando l'Airbus A300 dell'American Airlines decollato dall'aeroporto Kennedy di New York che avrebbe dovuto riportarli a Santo Domingo precipitò nel Queens per un cedimento strutturale.


La loro sorte era di morire per causa di un aereo; si erano salvati la prima volta, ma la seconda volta il destino ha preteso le loro vite, non gli ha lasciato scampo... e mi torna in mente la canzone "Samarcanda" di Roberto Vecchioni:



Per ricordare le 2.974 vittime di quella tragedia è stato costruito un memoriale nel luogo che tutto il mondo conosce come "Ground Zero": un parco alberato e due fontane di forma quadrata, poste esattamente dove sorgevano le due torri crollate, entro cui l'acqua precipita dalle alte pareti.

Io, nel mio piccolo, per ricordare quel dramma e le migliaia di vittime innocenti, oltre a pubblicare questo intervento esattamente all'ora in cui 10 anni fa ebbe inizio il dramma segnalo qui sotto la cronologia dei fatti accaduti l'11 settembre 2001 e un collage con le foto di quasi tutte le vittime.
Riposino in pace.

 


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