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19 dicembre 2011

"L'animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto."

«Canto XIII, ove tratta de l'esenzia del secondo girone ch'è nel settimo circulo, dove punisce coloro ch'ebbero contra sé medesimi violenta mano, ovvero non uccidendo sé ma guastando i loro beni.»

Nel Secondo Girone Dante colloca i violenti contro sé stessi: i suicidi e gli scialacquatori.

I primi non hanno forma umana ma per contrappasso sono diventati arbusti spogli e velenosi: avendo rifiutato la vita uccidendosi, sono stati privati del loro corpo col quale non potranno ricongiungersi nemmeno dopo il Giudizio Universale. Nella foresta dei suicidi nidificano le Arpie, che si nutrono delle foglie degli arbusti e infliggono ulteriore dolore ai dannati.
Per i secondi, avendo essi distrutto i loro averi, il contrappasso è essere distrutti da una muta di cagne nere che li inseguono attraverso la foresta dei suicidi e li sbranano.

Parlare del suicidio e di chi si toglie la vita è piuttosto difficile.
Se una persona arriva a questo gesto estremo è perchè non vede nessuna via di uscita da una situazione esistenziale insopportabilmente dolorosa e vissuta in una solitudine assoluta, perchè ci si può sentire terribilmente e irrimediabilmente soli anche se si ha una famiglia e si è circondati da colleghi e conoscenti.
Mi guardo bene dall'esprimere giudizi su chi rinuncia a vivere, un po' perchè nessuno può sapere quale angoscia inimmaginabile provi chi arriva a gesti definitivi e un po' perchè, avendo dovuto in passato affrontare il suicidio di una persona a me molto cara, non potrei avere il distacco necessario per farlo.

A volte il rifiuto di continuare a vivere rinunciando volontariamente alla vita è in realtà il rifiuto di continuare a soffrire o il rifiuto di arrivare a condizioni di vita che si giudicano inaccettabili; quello del cosiddetto "testamento biologico" e di cosa (o se) si debba permettere alle persone di decidere in merito alla fine della propria vita è un tema da qualche tempo assai dibattuto.

Per la Chiesa, naturalmente, l'autodeterminazione non è ammissibile e fino a tempi abbastanza recenti ha scomunicato i suicidi e ne ha proibita la sepoltura in terra consacrata.
Io, da agnostico, qualche domanda me la pongo: se è eticamente inaccettabile decidere deliberatamente di togliersi la propria vita perchè solo Dio ne può disporre, è eticamente accettabile usare con pervicacia ogni mezzo per prolungare il più possibile una vita, non propria ma di altri, che in condizioni "normali" Dio farebbe finire molto prima?
Se si sostituisce a Dio chi decide di porre fine alla propria vita, non si sostituisce a Dio anche chi con l'accanimento terapeutico si arroga il diritto di tenere artificialmente accesa la vita altrui senza che il proprietario della vita medesima abbia voce in capitolo?

Io identifico me stesso non già col mio corpo, ma piuttosto con il mio intelletto, con la mia mente, con i miei pensieri, con le mie emozioni, con la mia capacità di comunicare con gli altri e d'interagire col mondo, con i miei sentimenti.
Se un giorno dovessi trovarmi in stato di morte cerebrale di me rimarrebbe soltanto il corpo, l'involucro, ma non vi sarebbero più pensieri, sentimenti, emozioni, interazione: in quelle condizioni la mia non sarebbe più vita come la conosco e come la desidero, quindi non vorrei essere costretto a subirla.
Se potessi scegliere, arrivato a quel punto vorrei essere lasciato nelle mani di Dio, ma nel senso vero e letterale del termine: niente mantici a soffiarmi aria nei polmoni, niente pompe meccaniche a sostituire il mio cuore, niente tubi a riempire forzatamente il mio stomaco e a svuotare la mia vescica e il mio intestino, oltre che me stesso della mia dignità, ma decida Dio se è il caso che io rimanga in questo mondo o se debba passare a quello dei più.


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