Ricordo che quando avevo intorno ai 17~18 anni e notai che gli adulti mi davano sempre più spesso del "lei" anzichè del "tu", mi resi conto di essere (finalmente) diventato anche io adulto a tutti gli effetti e di essere (finalmente) riconosciuto come tale. Era una sensazione molto bella, che gratificava parecchio la mia autostima e mi faceva sentire non più adolescente, ma
unus inter pares nella società.
La forma allocutiva di cortesia con cui gli altri si rivolgevano a me era indice di quel rispetto che si accorda alle persone che non si conoscono e con le quali non c'è la confidenza necessaria per passare al "tu", che tuttavia si usa comunemente con bambini e adolescenti anche sconosciuti.
Sfortunatamente per loro, a due categorie di persone la possibilità di sentirsi
inter pares non già entrando nell'età adulta, ma in assoluto, è del tutto preclusa: mi riferisco ai disabili e agli stranieri, da sempre figli di un dio minore.
Chi mi legge, trovandosi in coda in un ufficio postale, all'USL, all'anagrafe, in banca, in un qualsiasi negozio o dovunque ci sia da aspettare il proprio turno, avrà senz'altro notato che raramente gl'impiegati, gli esercenti e i funzionari si rivolgono a disabili e stranieri con il "lei": evidentemente, ai loro occhi disabili e stranieri non sono dei pari a cui rivolgersi con il dovuto rispetto e nemmeno dei cittadini che con le tasse pagano il loro stipendio, ma restano sempre degl'inferiori a cui possono dare tranquillamente del "tu" senza che il Super-Io li faccia sentire quelle persone irrispettose e maleducate che in realtà sono.
Prestando attenzione a queste situazioni, ho notato che ci si rivolge con il "tu" a stranieri e disabili anche quando questi danno del "lei" a coloro che stanno dall'altra parte del bancone o dello sportello, i quali dal canto loro danno tranquillamente del "tu" anche a stranieri e disabili visibilmente assai più adulti senza avere il benchè minimo dubbio sulla inopportunità del loro atteggiamento.
Qualche distinzione fra i disabili viene però fatta: a un adulto con una mutilazione o su una sedia a ruote, così come a un cieco, si dà del "lei", mentre invece un sordomuto che ha difficoltà ad articolare le parole, uno spastico che si muove a scatti o chi è affetto da Trisomia 21 anche in forma lieve, è condannato a un'eterna fanciullezza che non prevede mai il diritto al rispetto suggellato dal "lei", neppure se hanno 60 anni e chi gli si rivolge ne ha la metà o anche meno.
Per la verità qualche distinzione si fa anche per gli stranieri: se sono
turisti, danarosi e occidentali o giapponesi vengono serviti e riveriti, mentre se vivono in
Italia, ci lavorano e vengono da Paesi classificati come sottosviluppati, la vulgata li vuole miserabili e come tali vengono trattati. Ci si stupisce
quando si scopre che hanno una carta di credito o una macchina più
grande di un'utilitaria e che che non sia vecchia di almeno 8 o 9 anni. In tal caso il retropensiero è: un immigrato extracomunitario non può avere tanti soldi e, se li ha, di sicuro non può averli guadagnati onestamente; costui è uno che delinque.
Questi stranieri non hanno alcuna chance: non sono mai riconosciuti come pari, dunque gli si dà del "tu" a qualsiasi età e quale che sia il lessico con cui si rivolgono agl'interlocutori.
Una volta, irritato dal tono sprezzante con cui un giovane impiegato di posta si rivolgeva a uno straniero di mezza età, gli chiesi perchè non gli desse del "lei" come faceva con tutti gli altri; la sua risposta - ancor più sprezzante - mi lasciò allibito: "Guardi che
quelli lì capiscono solo il tu".
Insomma, i peggiori italiani sono convinti che gli stranieri di determinate nazionalità (e alcune categorie di disabili) siano dei poveri ignoranti - se non addirittura dei minus habentes - che non capiscono le sfumature della lingua italiana.
In certi casi può essere vero che l'italiano metta in difficoltà, soprattutto se si parla di stranieri residenti in Italia da poco tempo e con poca familiarità con la nostra difficilissima lingua... che del resto crea non pochi grattacapi anche a un numero rilevante di cittadini italiani, perfino a quelli eletti a far parte del Parlamento quando non si tratti addirittura di ministri: ricordo un'intervista in cui l'allora Ministro della Cultura noto per l'aspetto, i modi ieratici e il tono della voce che gli sono valsi il soprannome di "il frate", sbagliava clamorosamente i congiuntivi. Questa forma verbale è la bestia nera anche di un politico di lungo corso attualmente Capogruppo alla Camera dei Deputati di un grande partito: a dispetto della sua laurea in Giurisprudenza, che dovrebbe implicare un'ottima conoscenza della lingua italiana, non azzecca un congiuntivo nemmeno per sbaglio.
Tornando agli stranieri, se è comprensibile che chi è in Italia da poco tempo possa avere una conoscienza approssimativa della nostra lingua e tenda a semplificarla dando del tu a tutti (venendo ripagato allo stesso modo anzichè con il "lei" che potrebbe accelerare il corretto apprendimento della nostra lingua), è anche vero che chi sta qui da più tempo l'italiano lo conosce, comprende la differenza fra "tu" e "lei" e usa le due forme allocutive in modo appropriato.
Ora, se uno straniero si esprime con proprietà di linguaggio in un italiano formalmente abbastanza corretto e dà del "lei" a un esercente, a un impiegato o a un funzionario, non si capisce perchè quest'ultimo, massimamente se si tratta di un pubblico dipendente, non debba rivolgersi a un cittadino - ancorchè straniero - dandogli a sua volta del "lei". E non si capisce perchè ci si debba permettere di dare del "tu" a un disabile.
Si tratta di una mancanza di rispetto che non ha giustificazione: stranieri e disabili non sono sub-umani!
C'è anche chi si spinge ben oltre il "tu" nel dimostrare scarsa o nulla considerazione per gli stranieri.
Anni fa, mentre passeggiavo in centro, incontrai un amico africano di poco più giovane di me che vive in Italia da quasi 20 anni, parla un italiano formalmente molto corretto - congiuntivi inclusi - e con un lessico piuttosto esteso. Stava andando in un'agenzia di viaggi perchè doveva prenotare un volo per tornare nel suo Paese e da sua moglie che aveva appena partorito la loro prima figlia. Mi chiese di accompagnarlo, così nel frattempo avremmo fatto quattro chiacchiere e siccome non avevo altro da fare andammo insieme in agenzia. C'era gente, dovevamo aspettare un po' e continuammo a chiacchierare del più e del meno, seppure a bassa voce per non disturbare.
Quando fu giunto il suo turno, il mio amico si avvicinò all'impiegato e gli spiegò cosa voleva nel suo italiano perfetto e usando l'allocuzione di cortesia "lei"; io stavo dietro di lui a un metro di distanza. L'impiegato ascoltava lui, gli si rivolgeva con il "tu" e spesso lanciava occhiate verso di me mentre gli parlava; il suo atteggiamento m'irritava oltremodo, ma stavo zitto e in posizione arretrata; in fondo ero lì per caso.
Dopo un po' smise di rivolgersi a lui, di guardarlo e cominciò a chiedere a me i dettagli del volo e del pagamento, dandomi naturalmente del "lei". A quel punto non resistetti oltre e sbottai: "Guardi che il cliente è il signore che ha di fronte, non io: è lui che le sta parlando, che le ha chiesto un volo e che si aspetta da lei delle risposte. Che c'entro io, che non ho aperto bocca? E poi: se questo signore le sta dando del "lei", perchè non fa altrettanto? Come si permette di dargli del "tu" dal momento che non lo conosce? Un minimo di educazione, diamine!"
L'impiegato farfugliò qualcosa d'incomprensibile e, con modi bruschi ma dandogli da quel momento del "lei", prenotò il volo al mio amico.
In accordo col pregiudizio diffuso, se un italiano e uno straniero sono insieme è senz'altro l'italiano ad avere la posizione rilevante ed è senz'altro lo straniero a essere subalterno o al servizio dell'italiano. Se non peggio.
Oliviero Toscani, il grandissimo fotografo che ammiro molto come artista delle immagini ma anche - e forse soprattutto - per le sue idee e il suo impegno contro il pregiudizio e a favore dei diritti civili di tutti, l'aveva già capito moltissimi anni fa quando nel settembre 1989, per una campagna pubblicitaria del marchio Benetton a lui storicamente legato, scattò questa fotografia ponendo la domanda: "
Chi è il poliziotto e chi il prigioniero?"
|
Oliviero Toscani - Handcuffs |
Non c'è nulla nell'immagine che ci soccorra nel distinguere il buono dal cattivo perchè entrambi indossano il trasversale e democratico jeans e una camicia azzurra che, soprattutto in America, è comune sia alle uniformi dei poliziotti che a quelle dei prigionieri. Eppure il nostro condizionamento sociale insieme alle rappresentazioni stereotipiche dei media e del cinema ci hanno insegnato a pensare che il il tutore dell'ordine è bianco e che il criminale è nero.
Infatti è a questa conclusione che la quasi totalità della gente arriva... e sfido chiunque a negare di averlo pensato, avendo letto la domanda e un attimo dopo aver visto la foto.
Sarà difficile cambiare un condizionamento sociale e degli stereotipi così profondamente radicati, ma per cominciare si potrebbe pretendere dagl'impiegati e dai funzionari degli uffici pubblici un comportamento consono a chi in quel momento rappresenta lo Stato al servizio dei cittadini: a nessun dipendente pubblico dovrebbe essere permesso (né dovrebbe permettersi) di rivolgersi a un cittadino dandogli del "tu" e ciò indipendentemente dal fatto che tale cittadino sia italiano o straniero, disabile o no.
Questa minima forma di rispetto e di educazione dovrebbe poi essere attuata anche agli esercenti, ma in quanto privati è più difficile imporre loro delle regole di comportamento, a meno che non si tratti di dipendenti dai quali il datore di lavoro può (e dovrebbe) pretendere un atteggiamento rispettoso verso i clienti.
Nel frattempo, suggerisco a chi se la sente di fare un piccolo esperimento: la prossima volta che sentirà un dipendente pubblico (non importa di che livello e in quale ufficio) dare del "tu" a uno straniero o a un disabile, quando sarà il suo turno provi a rivolgersi a lui con il "tu", soprattutto se il funzionario ha qualche anno di più.
L'espressione massimamente contrariata che questi "signori" assumono quando un cittadino gli da del "tu" la dice lunga sulla loro protervia.
Gli si spieghi poi perchè ci si è presi questa libertà, gli si ricordi che l'educazione e il rispetto sono la base dei rapporti fra le persone e che, in quanto rappresentanti dello Stato, hanno il
dovere rivolgersi ai cittadini con l'una e con l'altro.
Come dicevo è difficile cambiare le cose, ma finchè qualcuno non comincia...