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30 dicembre 2010

Il villaggio dei mulini.

Era il 1990 quando uscì nei cinema "Sogni", terzultimo film diretto da Akira Kurosawa nella sua carriera registica durata ben 50 anni.

"Sogni" è un film a episodi e le storie che racconta sono molto "giapponesi", al punto da risultare in alcuni casi poco comprensibili a noi occidentali. Cito ad esempio il primo episodio, "Raggi di sole nella pioggia", in cui per una disobbedienza (l'essere andato nel bosco a spiare un matrimonio dei demoni-volpe, cerimonia che ha luogo nelle giornate in cui piove e contemporaneamente c'è il sole e che le volpi non vogliono sia osservata dagli umani), il bambino protagonista viene trattato dalla madre con una durezza a cui noi della vecchia Europa che apparteniamo a una cultura assai diversa non siamo abituati: gli mette in mano un pugnale "tantō" portatole dalle volpi adirate per l'intrusione e lo invita ad andare da loro per scusarsi, avvertendolo però che difficilmente sarà perdonato e lasciando così intendere che uso dovrà fare del pugnale: il seppuku, il suicidio rituale della tradizione dei samurai.
Peraltro questo episodio è a mio giudizio uno dei più affascinanti: le scene della processione delle "kisune", i demoni-volpe, è più una rappresentazione di teatro Nō che una sequenza cinematografica.


Devo dire che non tutti gli episodi di questo film mi piacciono, ma quello che in assoluto preferisco è l'ultimo; s'intitola "Il villaggio dei mulini".
Un giovane, dall'aspetto assai metropolitano (jeans, camicia e zainetto in spalla) arriva in un villaggio edificato in riva e sopra un fiume in cui il tempo sembra essersi fermato a qualche centinaio di anni prima, i cui abitanti vivono a contatto e in sintonia con la natura, di cui hanno sommo rispetto.
Il dialogo fra il giovane e un vecchio abitante del villaggio ci rivela quale sia la filosofia di quella gente - che rinuncia perfino all'energia elettrica pur di non inquinare il buio della notte e poter vedere le stelle - e con che filosofia accetti di buon grado anche la morte, che viene vista come il momento culminante della vita e non come la sua fine.
Infatti nella sequenza finale della processione per il funerale di una donna quasi centenaria, a cui anche il vecchio - suo antico amore - si unisce recando un ramo fiorito e suonando un cimbalo, si vedono gli abitanti del villaggio precedere o seguire il feretro danzando accompagnati dalla musica di una banda.
La sintesi fra l'allegria della danza e la melanconia della musica (esaltata dalla tonalità minore, perchè in fondo è pur sempre una marcia funebre) esprime la gratitudine verso il fato per la vita lunga e prospera che ha concesso alla donna e nello stesso tempo la tristezza dell'estremo commiato.

Capita a chiunque di fare dei sogni affascinanti, strani, difficili da interpretare, ma anche degl'incubi dai quali non si vede l'ora di svegliarsi.  Akira Kurosawa, in questo film, i suoi ce li fa vedere tutti.



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