Quante volte ci sarà capitato di trovarci in compagnia di qualche conoscente che si sia messo a raccontarci i piccoli, insignificanti episodi accadutigli durante la giornata? Tante, immagino: succede a tutti.
Io di carattere sono più ascoltatore che ciarliero e a volte invidio un po' chi ha sempre qualcosa da raccontare: sarà perchè le cose che quotidianamente succedono a me non mi sembrano quasi mai così interessanti per il prossimo da mettermi a raccontargliele, sarà perchè la penso come l'abate Joseph Antoine Dinouart, ecclesiastico francese del 18° secolo che nel suo libro "L'Arte Di Tacere" (link) consigliava di parlare soltanto quando ciò che si ha da dire vale più del silenzio, ma a volte la mia scarsa attitudine a riempire il silenzio che ogni tanto cala fra me e le persone con cui mi trovo mi mette a disagio.
Immaginiamo dunque di essere al cospetto di un conoscente a cui non faccia difetto la facondia e che costui ci racconti di essersi trovato su un autobus verso mezzogiorno, di aver notato un giovane vestito in modo stravagante litigare con chi gli stava vicino accusandolo di spingerlo ogni volta che qualcuno passava loro accanto, di averlo visto sedersi nel primo posto libero e di aver poi rivisto quel giovane nel pomeriggio davanti alla stazione, mentre parlava con un suo amico il quale - covando forse velleità di stilista - gli suggeriva di far aggiungere un bottone alla sciancratura del soprabito.
Se questo narratore fosse un mio conoscente lo ascolterei per educazione, ma lo farei pensando che a me di ciò che ha visto sull'autobus non cale punto.
Però se a raccontarmi questo insignificante episodio fosse Raymond Queneau, allora lo ascolterei con estrema attenzione e soprattutto con sommo piacere. Lo ascolterei con interesse anche se me lo raccontasse per novantanove volte, perchè è questo che ha fatto Queneau nel suo straordinario libro "Esercizi Di Stile": ha raccontato novantanove volte la stessa trama cambiando ogni volta stile narrativo, lessico e utilizzando parecchie figure retoriche in modo magistrale.
Per la verità il successo della versione italiana è da ascrivere principalmente alla traduzione di Umberto Eco, anche se più che di una traduzione si tratta in realtà di una riscrittura; l'originale in francese è di fatto intraducibile a causa dell'impossibilità di trasporre quei testi in una lingua diversa mantenendone le caratteristiche stilistiche originali e il senso. I giochi di parole sono intraducibili.
Dopo aver letto le prime pagine di quel libro non riuscivo a fermarmi: ero curioso di vedere come sarebbe stata la versione successiva del racconto e non lo appoggiai fino a che non ebbi girata l'ultima pagina.
A ogni nuova narrazione del racconto, a ogni nuovo stile, io rimanevo sorpreso per la genialità di quell'esperimento e per la grande abilità necessaria a portarlo a termine. Naturalmente non tutte le versioni sono brillanti, tuttavia è una lettura piacevole per chi ama i giochi di parole e la scrittura creativa.
Nel 1982 vidi a teatro "Bus", spettacolo in cui Paolo Poli si cimentava nell'interpretazione degli "Esercizi Di Stile". Lo ricordo come uno spettacolo straordinario: se si mettono idealmente insieme in un teatro due giocolieri della parola come Raymond Queneau e Umberto Eco, un folletto / animale da palcoscenico come Paolo Poli, le scenografie di Emanuele Luzzati e i costumi di Santuzza Calì, di sicuro si assiste a qualcosa di unico.
Qui di seguito riporto la prima narrazione, seguita dai lipogrammi in A e in E (nei quali non compare la vocale del titolo e che nel libro sono anche in I, O e U) e dalla versione in latino maccheronico. Dovrebbero bastare a stuzzicare la voglia di leggere tutto il libro.
Io di carattere sono più ascoltatore che ciarliero e a volte invidio un po' chi ha sempre qualcosa da raccontare: sarà perchè le cose che quotidianamente succedono a me non mi sembrano quasi mai così interessanti per il prossimo da mettermi a raccontargliele, sarà perchè la penso come l'abate Joseph Antoine Dinouart, ecclesiastico francese del 18° secolo che nel suo libro "L'Arte Di Tacere" (link) consigliava di parlare soltanto quando ciò che si ha da dire vale più del silenzio, ma a volte la mia scarsa attitudine a riempire il silenzio che ogni tanto cala fra me e le persone con cui mi trovo mi mette a disagio.
Immaginiamo dunque di essere al cospetto di un conoscente a cui non faccia difetto la facondia e che costui ci racconti di essersi trovato su un autobus verso mezzogiorno, di aver notato un giovane vestito in modo stravagante litigare con chi gli stava vicino accusandolo di spingerlo ogni volta che qualcuno passava loro accanto, di averlo visto sedersi nel primo posto libero e di aver poi rivisto quel giovane nel pomeriggio davanti alla stazione, mentre parlava con un suo amico il quale - covando forse velleità di stilista - gli suggeriva di far aggiungere un bottone alla sciancratura del soprabito.
Se questo narratore fosse un mio conoscente lo ascolterei per educazione, ma lo farei pensando che a me di ciò che ha visto sull'autobus non cale punto.
Però se a raccontarmi questo insignificante episodio fosse Raymond Queneau, allora lo ascolterei con estrema attenzione e soprattutto con sommo piacere. Lo ascolterei con interesse anche se me lo raccontasse per novantanove volte, perchè è questo che ha fatto Queneau nel suo straordinario libro "Esercizi Di Stile": ha raccontato novantanove volte la stessa trama cambiando ogni volta stile narrativo, lessico e utilizzando parecchie figure retoriche in modo magistrale.
Per la verità il successo della versione italiana è da ascrivere principalmente alla traduzione di Umberto Eco, anche se più che di una traduzione si tratta in realtà di una riscrittura; l'originale in francese è di fatto intraducibile a causa dell'impossibilità di trasporre quei testi in una lingua diversa mantenendone le caratteristiche stilistiche originali e il senso. I giochi di parole sono intraducibili.
Dopo aver letto le prime pagine di quel libro non riuscivo a fermarmi: ero curioso di vedere come sarebbe stata la versione successiva del racconto e non lo appoggiai fino a che non ebbi girata l'ultima pagina.
A ogni nuova narrazione del racconto, a ogni nuovo stile, io rimanevo sorpreso per la genialità di quell'esperimento e per la grande abilità necessaria a portarlo a termine. Naturalmente non tutte le versioni sono brillanti, tuttavia è una lettura piacevole per chi ama i giochi di parole e la scrittura creativa.
Nel 1982 vidi a teatro "Bus", spettacolo in cui Paolo Poli si cimentava nell'interpretazione degli "Esercizi Di Stile". Lo ricordo come uno spettacolo straordinario: se si mettono idealmente insieme in un teatro due giocolieri della parola come Raymond Queneau e Umberto Eco, un folletto / animale da palcoscenico come Paolo Poli, le scenografie di Emanuele Luzzati e i costumi di Santuzza Calì, di sicuro si assiste a qualcosa di unico.
Qui di seguito riporto la prima narrazione, seguita dai lipogrammi in A e in E (nei quali non compare la vocale del titolo e che nel libro sono anche in I, O e U) e dalla versione in latino maccheronico. Dovrebbero bastare a stuzzicare la voglia di leggere tutto il libro.
NarrazioneSulla S, in un’ora di traffico. Un tipo di circa ventisei anni, cappello floscio con una cordicella al posto del nastro, collo troppo lungo, come se glielo avessero tirato.
La gente scende. Il tizio in questione si arrabbia con un vicino. Gli rimprovera di spingerlo ogni volta che passa qualcuno. Tono lamentoso, con pretese di cattiveria.
Non appena vede un posto libero, vi si butta.
Due ore piú tardi lo incontro alla Cour de Rome, davanti alla Gare Saint-Lazare. È con un amico che gli dice: «Dovresti far mettere un bottone in piú al soprabito». Gli fa vedere dove (alla sciancratura) e perché.
Lipogramma in AUn giorno, mezzogiorno, sezione posteriore di un bus S, vedo un tizio, collo troppo lungo e coso floscio sul cucuzzolo, con un tessuto torticoloso.
Costui insultò il suo vicino dicendo che di proposito gli premesse sul piede, ogni momento che un cliente del mezzo venisse su o giú.
Poi si fece silente e occupò un posto libero.
Lo rividi, un tempo di poi, nel luogo dei treni che si vuole rechi il nome di un uomo pio, con un sempronio che gli dice di mettere piú in su il bottone del suo vestito d’inverno.
Lipogramma in EUn giorno, diciamo dodici in punto, sulla piattaforma di coda di un autobus S, vidi un giovanotto dal collo troppo lungo: indossava un copricapo circondato da un gallon tutto intorcicolato.
Costui apostrofò il suo vicino urlando: «tu di tua volontà mi schiacci quanto la scarpa si vuol copra, ad ogni monta o dismonta di qualcuno! »
Poi non parla piú, occupando un posto non occupato.
Non molti minuti di poi, scorgo colui al luogo di raduno di molti vagoni, parlando con un amico il qual gli intima di spostar un poco il botton di un suo soprabito.
Latino maccheronicoSol erat in regionem senithi et calor atmospheri magnissima. Senatus populusque parisensis sudabant. Autobi passabant completi. In uno ex supradictis autobíbus qui S denominationem portabat, hominem quasi moscardinum cum collo multo elongato et cum capello a cordincula tressata cerclato vidi.
Iste junior insultavit alterum hominem qui proximus erat: pietinat, inquit, pedes meos post deliberationem animae tuae.
Tunc sedem líberam videns, cucurrit là.
Sol duas horas in coelo habebat descendutus. Sancti Lazari stationem ferroviariam passante davante, jovanottum supradictum cum altero ejusdem farinae qui arbiter elegantiarum erat et qui de uno ex boutonis cappotti junioris consilium donabat vidi.
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