A qualcuno sarà capitato di soffermarsi a considerare il "burocratese", quella strana forma di demenza lessicale (absit iniuria verbis) che colpisce chiunque si trovi a lavorare in un ufficio pubblico: ma è mai possibile che persone per altri versi normali, quando prendono servizio vestendo i panni dei funzionari pubblici cadano preda di un demone che seguendo il copione della più tradizionale possessione diabolica li costringe a parlare in una lingua sconosciuta e non usata al di fuori degli uffici della Pubblica Amministrazione?
È possibile... eccome se è possibile.
Cominciamo con le denunce alle Autorità di P.S., i cosiddetti "processi verbali di denuncia": già qui c'è materia di studio. Perchè non è sufficiente dire "denuncia"? È proprio necessario che un atto amministrativo fra i più semplici - il mettere per iscritto la dichiarazione di un cittadino - venga ammantato di pretesa sacralità aggiungendo quel fumoso "processo verbale" che in tempi ormai lontani, ai nostri nonni e bisnonni poco meno che analfabeti, incuteva un reverenziale timore? Mah...
Basta una semplice interrogazione a Google per avere a disposizione un florilegio di ottusità burocratiche caratterizzate dai verbi all'imperfetto e al gerundio che sarebbero anche comiche, se non si trattasse di atti ufficiali redatti dalle Forze dell'Ordine.
Si passa poi alle disposizioni amministrative. Anche qui c'è abbondanza di materiale per studiare la psicologia del burocrate che invariabilmente "si porta" (come? In braccio? In risciò? Sulla canna della bicicletta?) anzichè "andare", che cita qualcosa "in epigrafe" anzichè "più sopra", che "rende edotto" il prossimo anzichè "informarlo di" qualcosa e via di questo passo.
La locuzione che trovo più stupida, quella che in burocratese indica un termine perentorio, l'ho usata come titolo: "Entro e non oltre". È ovvio che se una cosa dev'esser fatta "entro" il termine indicato non può essere fatta "oltre" quel limite temporale... dunque è del tutto superfluo usare la figura retorica dell'antitesi come rafforzativo, a meno che non si parta dal presupposto che i cittadini siano un po' stupidi e che sia necessario ripetere il concetto.
La locuzione che trovo più stupida, quella che in burocratese indica un termine perentorio, l'ho usata come titolo: "Entro e non oltre". È ovvio che se una cosa dev'esser fatta "entro" il termine indicato non può essere fatta "oltre" quel limite temporale... dunque è del tutto superfluo usare la figura retorica dell'antitesi come rafforzativo, a meno che non si parta dal presupposto che i cittadini siano un po' stupidi e che sia necessario ripetere il concetto.
L'abuso di questa locuzione rasenta a volte il sublime. A commetterlo sono sia le strutture universitarie private per un Master universitario in traduzione professionale, sia la facoltà di lettere e filosofia di un'università statale, che riesce a infilare un "entro e non oltre" perfino nel bando di ammissione a un corso di perfezionamento in "Retorica e scrittura - Dall'analisi alla costruzione del messaggio" (a pagina 2, sesto paragrafo). Fantastico...
Se tutti cominciassimo a esprimerci usando simili espressioni ridondanti, l'effetto sarebbe surreale. Ecco qualche esempio, giusto per farci un'idea.
Al telefono con un amico:
"Ciao Massimo. Ti ho chiamato per chiederti se tu e non tuo fratello domani sera sei libero e non occupato: nel caso potremmo andare a cena insieme e non da soli."
Dal dottore:
"Buongiorno dottore. Sono venuto da lei perchè ultimamente sono depresso e non allegro".
Dal giornalaio:
"Salve: Vorrei la 'Gazzetta dello Sport' e non la 'Gazzetta Ufficiale'.
Al ristorante:
"Come primo vorrei spaghetti allo scoglio e non al ragù. Per secondo gradirei una grigliata mista di pesce e non di carne. Come contorno, patate fritte e non al forno.
Da bere mi porti una mezza minerale gassata e non naturale più un Müller Thurgau frizzante e non fermo.
Infine come dessert mi porti una una panna cotta e non montata, caffè e non decaffeinato e un whisky doppio malto e non singolo".
Questo modo di esprimersi è ridicolo... eppure i burocrati sono serissimi nel compiacersi di sfoggiare un simile, ottuso linguaggio.
Nel 1993 l'allora Ministro della Funzione Pubblica, Sabino Cassese, elaborò il "Codice di stile", che nelle intenzioni avrebbe dovuto insegnare ai burocrati delle amministrazioni pubbliche a comunicare con i cittadini in modo più chiaro, semplice e comprensibile. Com'era prevedibile, non sono bastati 17 anni per compiere questa titanica impresa.
Qualche cambiamento c'è stato, ora molti documenti sono più chiari se paragonati a quelli di un tempo, ma rimane parecchio lavoro da fare per rendere meno ridicole e finalmente del tutto comprensibili le comunicazioni dello Stato ai cittadini.
La prova sta nel fatto che anche nel "Codice di stile", negli esempi di documenti scritti prima in burocratese e poi riformulati in modo più chiaro e semplice, l'espressione "Entro e non oltre" persiste più viva e in salute che mai... come ogni malerba.
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